— Di Eugenio Arcidiacono
Piove a dirotto sul prato di Villa Arconati, luogo bellissimo alle porte di Milano dove un folto pubblico si è radunato per ascoltare Daniele Silvestri impegnato nel suo nuovo tour. Fa pure un po’ freddo, ma quando parte L’Appello con il suo ritmo trascinante quasi da marcia circense, tutti si scatenano a ballare.
Eppure, se si ascolta il testo, è tutt’altro che allegro. Si parla di “un fratello scomparso all’improvviso a fine Luglio”, “di un’agenda rossa e non si trova più”. La canzone, insomma, è dedicata a Paolo Borsellino e ai misteri legati alla strage di Via d’Amelio, e racchiude l’essenza della produzione del cantautore, che incontriamo il giorno dopo in un albergo: “Penso che la rabbia verso un’ingiustizia, l’impegno per un valore in cui si crede, restino sterili se non sono accompagnati dal riconoscimento della leggerezza, dell’ironia. Da questo punto di vista, l’ultimo Sanremo a cui ho partecipato per me è stato l’ideale: ho potuto presentare due brani, l’impegnata A bocca chiusa e la scanzonata Il bisogno di te che ben riflettono questa mia concezione della musica”.
Tornando a L’Appello, Silvestri aggiunge: “Può darsi che prima o poi l’agenda rossa di Borsellino salti fuori, ma temo che quando ciò avverrà non avrà più un effetto dirompente. Di sicuro è nata una bella amicizia con Salvatore Borsellino, il fratello del giudice, che ha capito benissimo il senso della canzone: con la musica gioiosa ho cercato di restituire la vitalità di Paolo e l’idea che la sua storia non è conclusa”.
Proprio una delle canzoni di Sanremo, A bocca chiusa si può legare alle parole pronunciate da Papa Francesco a Lampedusa, in particolare a quelle sulla “globalizzazione dell’indifferenza”. “Non dobbiamo rassegnarci all’idea che ormai nulla possa scuotere le nostre coscienze e che le cose andranno sempre peggio”, commenta Daniele. “Il protagonista di questa canzone è una persona avanti con l’età, che ha subito molte delusioni, ma che comunque non rinuncia a manifestare in un corteo per i valori in cui crede. Ho portato spesso i miei due figli ai cortei, fin da quando stavano nel passeggino, perché capiscano quanto sia importante occuparsi di tutto ciò che accade fuori dal nostro mondo”.
Nel mondo di Daniele da bambino un grande spazio era occupato dal cinema: “Alle elementari facevo il tempo pieno: uscivo alle 4 del pomeriggio e dicevo ai miei genitori di venirmi a prendere soltanto alle 6 perché andavo nel cinema parrocchiale di fronte, il Montezebio. Ogni giorno davano un film diverso, anche di trent’anni prima. Quando arrivò Guerre Stellari, lo vidi almeno trenta volte”.
Ora di bambini Daniele ne ha due, Pablo e Santiago, che hanno 9 e 10 anni, e quando può si diverte a cucinare per loro: “Sono un ‘pastaro’ e quindi mi sono specializzato nei primi: la amatriciana non mi viene male, ma forse il piatto che mi riesce meglio è la pasta e fagioli: me l’ha insegnato mia madre, che è bolognese”.
Il papà invece era Alberto Silvestri, autore del Maurizio Costanzo Show scomparso nel 2001, ma soprattutto sceneggiatore del Sandokan interpretato da Kabir Bedi: “Sono cresciuto leggendo i suoi scritti quando ancora ero troppo piccolo per capire che non erano storie inventate per me. Iniziavano sempre con le indicazioni per il regista, tipo “esterno notte”, e questa forma cinematografica ha poi influenzato la scrittura delle mie canzoni”, ricorda Silvestri.
“Avevamo una casa piccola e la mia stanza era il suo studio. Quindi sono cresciuto con il mio letto attaccato a una libreria di 20mila volumi. Mi addormentavo leggendo i titoli: era come viaggiare sempre con la fantasia”.
Con il padre, Daniele si divertiva a parlare in rima. “Continuo a giocare con le parole anche con i miei figli. Il più piccolo è più bravo sia di me che di suo nonno. Anche se non capisce il significato, ha imparato a memoria prima di me tutta la canzone su Borsellino”.
(21 Luglio 2013 – Famiglia Cristiana, pag. 80-81)