Recensione
Abbiamo assistito alla replica dello spettacolo “Insieme a te non ci sto più” scritto da Adriano Bennicelli e diretto da Matteo Vacca. Lo spettacolo è attualmente in scena al Piccolo Teatro San Paolo di Roma.
Ci caliamo in un’atmosfera di fine anni 80: Andrea, architetto dal carattere deciso e molto pratico, è sposato con Arianna ma la loro storia vive un momento di crisi dovuto all’abitudine derivante dalla monotonia matrimoniale. Ernesto, operaio romeno ma laureato in psicologia, svolgendo dei lavori in casa si trova, suo malgrado, ad assistere all’evolversi di questa crisi coniugale; il tutto viene completato da una cliente petulante molto particolare e da una zingara che girovaga nelle stazioni metropolitane incontrando molto spesso Andrea.
Questi sono gli ingredienti di una storia che ha i suoi punti di forza in diverse sfaccettature: innanzitutto gli sbalzi temporali in cui il pubblico viene immerso sin dai primi minuti. Rappresentare una storia che ha momenti vissuti a distanza tra loro su un palcoscenico non è affatto compito semplice, ma la regia esperta e oculata di Matteo Vacca, svolge il compito in maniera pressoché perfetta. Il doppio livello scenografico e la visione in profondità della storia, non a caso scelte in modo tale da non perdere la centralità del presente che racconta il passato, riesce a far comprendere agli spettatori in che momento della storia ci troviamo. Adriano Bennicelli è un autore teatrale affermato che fa dei cambi temporali e dei luoghi in cui viene raccontata la storia, uno stile di scrittura. Non si è mai nello stesso posto, la storia non vive mai in in un solo luogo. Uno spettacolo come un film: in cui la scena passa da un luogo all’altro, da un flashback al momento presente, facendo sempre, costantemente immaginare allo spettatore, come potrebbe risolversi la vicenda.
Proprio questo stupisce di uno spettacolo del genere: l’attenzione sulla dimensione “futuro” è palpabile negli spettatori, nonostante le altre due dimensioni, del passato e del presente raccontata dagli attori in scena, siano così potenti da far pensare che non sia importante dove si andrà a finire, ma piuttosto sia essenziale capire da dove siamo partiti e cosa i protagonisti della storia vedono nel presente. la maestria risiede proprio in questo: dapprima come testo, e poi come interpretazione e regia, si tiene viva l’attenzione del pubblico, lo si incuriosisce su dove, tutti i fili che vengono intrecciati nel corso del racconto, andranno a finire, disegnando il finale che viene svelato pian piano. Viaggiando con i protagonisti della storia nelle velocissime situazioni e sentimenti, gli spettatori vengono letteralmente coinvolti nella vicenda.
I temi toccati sono diversi: razzismo, integrazione, incomunicabilità della coppia. L’architetto Andrea, interpretato in modo deciso ed efficace da Fabrizio Pallotta, “decostruisce” il proprio matrimonio come fosse uno degli appartamenti che doveva ristrutturare. Elisa Pazi regala al personaggio di Arianna una vena di insicurezza e di ricerca di stabilità, quasi non voglia accettare che la routine stia inglobando il suo matrimonio. Serena Ricci è la cliente impossibile e improbabile, e la sua caratterizzazione è così riuscita da strappare continue risate con i suoi qui pro quo lessicali. Aisha, la zingara, è interpretata da Francesca Baragli che tiene in equilibrio il suo personaggio tra la naturalezza e le caratteristiche di una gitana “italianizzata” che deve ogni giorno combattere con le discriminazioni e i luoghi comuni, pur confermandoli con alcuni suoi atteggiamenti. Eric Bastianelli non perde un colpo nel disegnare un personaggio comico, ma allo stesso tempo “voce della coscienza” dell’intera vicenda.
Quindi un viaggio negli anni 80 che, per certi versi, ricorda molto la situazione attuale: trent’anni passati, eppure sembra come fosse contemporanea, la storia, tanto sono ancora vivi i preconcetti, le frasi fatte, la finzione che tutto vada bene mentre ci sarebbe da ricostruire tutto. Adriano Bennicelli ambienta la commedia in un momento storico dove davvero sembrava che un “terremoto” politico potesse migliorare e cambiare le cose: la riflessione sta proprio qui. Guardiamo attraverso lo specchio quello che eravamo e vediamo che poi, per alcune importanti cose, non siamo migliorati e che dobbiamo ancora lavorare per non cadere nelle estremizzazioni e nel fingere che i problemi trovino soluzioni da soli, anziché affrontarli.
Il pubblico durante la piéce e alla fine, premia lo spettacolo con applausi lunghi e prolungati, risate e commenti sulla storia, dimostrando che il lavoro fatto è davvero di livello ed è per questo, che ci auguriamo di vedere su altri palcoscenici quanto prima.
Fino all’11 dicembre al Piccolo Teatro San Paolo.
Foto Gallery
Voto Finale
8
- Dinamico
- Divertente
- Coinvolgente