Ieri a Parigi è morto Patrice Chéreau, vogliamo ricordarlo con le parole del Direttore del Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa.
“Patrice Chéreau arrivò al Piccolo Teatro nell’aprile 1970, chiamato da Paolo Grassi, quando Giorgio Strehler lasciò temporaneamente la direzione. Grassi chiamò assieme a lui altri ragazzi e ragazze da tutta Europa: Klaus Michael Grϋber, Ariane Mnouchkine, Andrée Ruth Shammah, Raffaele Maiello e Marco Bellocchio, giovani che hanno poi segnato la storia europea del teatro. Con loro, e con Eduardo e Franco Parenti, Grassi firmò le stagioni dal 1968 al 1972 chiamando più volte Chéreau a dirigere spettacoli per il palcoscenico di via Rovello.
Dal primo Splendore e morte di Joaquin Murieta di Pablo Neruda nel 1970 alla Lulu di Wedekind del 1972 con una strepitosa Valentina Cortese, e poi fino al 2011, quello di Chéreau con il Piccolo è stato un rapporto d’affetto mai interrotto, una sorta di fiume carsico che costantemente veniva alla luce, profondo come era il suo modo di concepire la vita, il teatro, il cinema, e allo stesso tempo gioioso nel momento in cui egli metteva piede sul palcoscenico. Il sodalizio con il Piccolo Teatro è segnato con altri memorabili spettacoli, tra i quali nel 1976 La dispute di Marivaux, Hamlet nel 1989, Memorie dal sottosuolo di Dostoevskij nel 2003, Le Grand Inquisiteur dello stesso Dostoevskij nel 2006.
Ricordo quando lo incontrai, alla fine del 2008, perché – mi sembrava ovvio – dopo il restauro della sala di via Rovello volevo che fosse lui ad inaugurarla con una sua produzione. Eravamo a Parigi, in un piccolo déhors, e lui mi rispose che la cosa lo onorava e che però insieme lo spaventava. Mi confidò che la prosa lo coinvolgeva troppo. In realtà leggevo nei suoi occhi un mai interrotto amore per il teatro e la voglia di ritornarvi.
E infatti tornò al Piccolo nel 2011 con Rêve d’automne di Jon Fosse, con la sua regia, una grande coproduzione del Piccolo con l’Odéon di Parigi, andato in scena prima al Louvre e poi totalmente ricostruito a Milano al Teatro Strehler. L’ambientazione era il museo, perché i musei sono come i cimiteri. E’ stato uno degli spettacoli più belli e profondi sul rapporto tra teatro e morte”.
Sergio Escobar