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La grande schifezza

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“Chisto è il Paese d’ò sole, chisto è il paese d’ò mare”, cantava un rutilante e adiposissimo Gerard Depardieu nell’imbarazzante spot di non so quale sugo. Tiene cuore italiano lui, ma è andato a farsi dare il passaporto da Putin. Saggiamente. Perché il nostro sarà pure il Paese del sole e del mare, della buona cucina (anche se i concorrenti di Masterchef Italia non sanno fare una crema di mais, mentre nella versione USA fanno le uova quadrate, ma vabbè), delle bellezze naturali (inquinate) e artistiche (sgarrupate), però una cosa è certa: agli italiani dell’Italia non frega proprio niente. Quello che in altri Paesi è considerato orgoglio nazionale, quel luccichio che vedo negli occhi di tanti miei amici stranieri quando mi descrivono le meraviglie di casa loro, quel senso di appartenenza a un insieme unitario di storia, tradizioni e cultura, da noi non esiste. Al massimo possiamo trovarne un vago barlume quando ci sono i mondiali di calcio, ma quel luccichio negli occhi non è amor patrio, è Peroni.

La verità è che gli italiani non sono un popolo, ma continuano imperterriti a farsi la guerra, le corna, le pernacchie con i vicini di banco come all’epoca di Guelfi e Ghibellini o delle elementari. Gli italiani sono invidiosi, rosiconi, non riescono a gioire del successo altrui, anche se porta vantaggio alla comunità. Sono individualisti, fanfaroni e particolaristi, guardano al cento euro dell’IMU e non ai miliardi del debito pubblico, perché appunto, è pubblico e pensano che non li tocchi singolarmente. Non sono vent’anni di berlusconismo ad averli ridotti così, ma è proprio perché sono così che ci sono stati vent’anni di berlusconismo.

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Dimostrazione pratica: dopo anni di lagne, piagnistei, lamentele sullo stato agonizzante del cinema italiano, un nostro autore ha un grande successo internazionale. Vince il Golden Globe e viene candidato all’Oscar. In un Paese normale questo significherebbe: gioia, commozione e anche, perché no, gran fregarsi di mani al pensiero del ritorno di immagine (e soldi) che ne può derivare. Specie se si tratta di un film che, piaccia o meno, è comunque di alto livello, con alle spalle una produzione di autore, un grande cast. (Che poi, se non piace, esiste sempre l’opzione di stare in silenzio, sempre più spesso troppo sottovalutata)

In Italia invece no: in questi giorni, infatti, il web pullula di detrattori che passano le giornate (non è un eufemismo) a gufare contro Sorrentino e contro la sua “Grande Bellezza”, augurandosi che non convinca l’Academy e smadonnando per il Globe. Ma io dico: siete tutti cretini? Ve la meritate allora la fiction con l’Arcuri, ve li meritate i Muccini, vi meritate i Soliti Idioti, Moccia, trent’anni di scorregge natalizie, Salemme e Siani. Vi meritate Costantino e Dagnele, vi meritate che i contributi statali vadano a finanziare il film con la squinzia del ministro di turno, il nepotismo, gli inciuci da produzione romana di bassa lega e tutto il male che soffoca il cinema italiano e che è una metafora speculare della nostra società. Sì perché voi siete il male, voi che non sapete essere felici di una cosa, piccola o grande, che nel vostro Paese, navigante a vista su acque internazionali di merda purissima (nel caso non ve ne siate accorti) possa portare un minimo di attenzione positiva, di rispetto. Voi che siete pronti a spellarvi le mani su un qualunque film d’autore di sessantasei ore proveniente da un Paese in fase di sviluppo, di cui non capite niente perché non conoscete usi, costumi e storia del Paese in questione, ma fa fico dire che è il nuovo capolavoro del cinema mondiale.

Voi siete il male del cinema e del vostro Paese. Voi che non riuscireste a vedere la grande bellezza neanche se ve la recapitassero a casa in un pacco regalo. Voi che passerete la notte degli Oscar livorosi e frustrati, a gufare autocompiacendovi della vostra sterile alternatività mentre io la passerò a emozionarmi, contenta e orgogliosa, per un giorno e uno soltanto, di essere italiana.

www.giovio15.com

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