Immaginate in un futuro non troppo remoto, un’Italia allo sbando. In piena crisi, dove il paradosso si fa reale e si tocca con mano. Dove i qualificati vengono relegati ai margini della società, mentre i criminali governano tutto e tutti…
(Ma quale futuro remoto…ma quale immagina. Apri gli occhi e guarda. C’è poco da sforzarsi, è tutto vero!!!)
Che sia questo il punto di forza del film Smetto quando voglio? E’ probabile. E sapete perché? Perché questo giovane regista salernitano, poco più che trentenne, riesce a fare un film che riprende gli espedienti di una commedia italiana dimenticata, colorandola poi con quelle che sono le più tipiche “americanate”. Nel senso buono. Sydney Sibilia si avvale di un elemento fondamentale: il realismo surreale di oggi.
Surreale, impensabile, assurdo eppure così vero da esasperare e divertire, allo stesso tempo, chi guarda e chi si rispecchia in quelle macchiette. Pietro Zinni/Edoardo Leo è un ricercatore universitario, sulla soglia dei primi “anta”. Un ragazzo più che qualificato, forse troppo. Quando l’Università gli rifiuta il progetto (era troppo difficile anche per i dottoroni) e lo licenzia, entra in crisi. Da qui la folle pensata che potrebbe cambiargli la vita…
Mettere su una banda di super cervelloni laureati e tutti precari. Il chimico (Stefano Fresi), l’economista (Libero De Rienzo), i latinisti (uno dei quali è Valerio Aprea), l’archeologo (Paolo Calabresi), l’antropologo (Pietro Sermonti), un furgone e un cane. Quanto basta a lanciare una nuova droga che, per l’Italia, è perfettamente legale.
Il film inizia e la prima cosa che si nota è che il regista, è come se volesse dire al pubblico: “attenzione, il film che state per vedere è tratto da una storia vera, una storia tutta italiana”. Storicamente e cinematograficamente direi. Perché questo giovane professore alle prese con ripetizioni private, dispensate in casa a giovani (diciamo così, sbrindellati), ricorda inevitabilmente quel Rolando Ferrazza che fu Carlo Verdone negli anni ’80, in quel gioiellino di commedia tutta italiana semplice come Acqua e sapone.
Chiaro tornare anche sul capolavoro di Monicelli, laddove I soliti ignoti erano una banda di “poveracci”.
E invece oggi i poveracci veri sono i laureati. Fare una commedia che sia prima di tutto originale nell’approccio all’argomento trattato, e poi perfettamente riuscita nella caratterizzazione dei personaggi, così come nella realizzazione di alcune situazioni esilaranti e drammatiche al tempo stesso, era ciò di cui il cinema italiano aveva bisogno. In sala eravamo tanti, e mi ha colpito questa cosa. Perché nei volti delle persone di una certa età, leggevo sorrisi spensierati e leggeri. Poi mi capitava di guardare qualche ragazza o ragazzo della mia stessa età, poco distanti dagli anni dei protagonisti del film, e si percepiva quell’amarezza condivisa. Quel sorriso che ti aiuta a sdrammatizzare il dramma, ma del quale non puoi cambiare le sorti.
Questo film parla di tutti noi, classe 1970-1980. Quei poveracci illusi che hanno pensato bene di investire tutto nello studio, sulla crescita umana e culturale. Quella in cui credevi, alla quale ambivi, da sempre. La stessa che in un paese come il nostro viene allontanata e evitata come la peste. Come Pietro, quante volte anche noi abbiamo detto: “io purtroppo nella vita non so fare altro che studiare”? Eh…che ci posso fare io se ho questo male, questo difetto congenito che mi perseguita. Da diventare matti davvero. Addirittura arriviamo a pensare che convenga andare in galera, magari lì abbiamo più possibilità di crescita professionale e umana. “Quasi quasi mi metto a spacciare, mi conviene”.
Smetto quando voglio è un film che pare assurdo come le fiction americane, ma fatto bene senza l’ostacolo di dover rendere credibile le storie che racconta. E’ questa l’Italia, la protagonista perfetta di una commedia tragicomica. Dove un archeologo sta buttato in cantiere e sogna un panino con la frittata durante la pausa pranzo. Dove un chimico brillante fa il lavapiatti (grande, grandissimo Stefano Fresi) a condizioni ridicole. Dove due poveri latinisti rischiano le botte tutti i giorni in un distributore di benzina. E’ questa la storia dell’Italia e di tutti noi, o nella migliore delle ipotesi, di molti di noi. Un paese che dovrebbe cambiare ma non vuole. Nel frattempo, un antropologo, si brucia l’occasione di uno stage non retribuito di 12 barra 18 mesi, presso un cantiere che accetta solo animali “de strada”.
Tutta colpa di quell’errore di gioventù. E poi quell’aspra diatriba legale…
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