TEATRO ELFO PUCCINI – MILANO
C’è come una pausa, nella pièce, un momento fuori dal tempo, come se non il personaggio ma proprio l’autore stesse parlando al pubblico, quando Robbie, nell’immobilità scenica, dice: «Io credo che una volta, tanto tempo fa, esistessero grandi storie. Storie così grandi da poterci vivere dentro tutta la vita. Le Mani onnipotenti degli Dei e del Fato. Il Viaggio verso l’Illuminazione. La grande marcia del Socialismo. Ma sono morte tutte, o forse il mondo è invecchiato e invecchiando ha perso la memoria e le ha dimenticate. Così, adesso, ognuno di noi si costruisce da solo le sue storie. Piccole storie». Già, piccole (grandi) storie come questo «Shopping&Fucking». Autore, quel Mark Ravenhill, classe 1966, che, insieme a Sarah Kane rappresenta la punta di diamante dei cosidetti «nuovi arrabbiati» inglesi, anche se quest’etichetta, come qualunque altra, gli va decisamente stretta perché il microcosmo, solo apparentemente underground, che porta in scena è un macrocosmo politico e di denuncia sociale ed esistenziale.
In «Shopping&Fucking» questo prende vita da una storia solo apparentemente dominata da droga e sesso ma, a una lettura più attenta e approfondita, svela il vero messaggio: la diversità, l’elemento borderline, deve essere riportato alla «normalità». Non in nome della morale, ma del capitalismo, del dio denaro. Vediamo.
Una coppia, Robbie (Alessandro Rugnone) e Lulu (Camilla Semino Favro) vive a casa di Mark (Vincenzo Giordano) in un ménage à trois senza barriere (tutti sono amanti di tutti), ma Mark vuole disintossicarsi dalla droga e per farlo ha bisogno di liberarsi, almeno temporaneamente, dai legami. Cerca sesso facile, a pagamento. E incontra Gary (Gabriele Portoghese) per un rapporto a pagamento. Ma Gary, si scoprirà, è vittima di abusi e finirà per avere un «volto» non un prezzo. Dal canto loro Robbie e Lulu, per tirare avanti, finiscono fra le grinfie di Brian (Ferdinando Bruni) l’unico «adulto» che, senza svelare più del necessario, attraverso una sorta di «percorso iniziatico» diverrà il «padre», ossia colui che li incanalerà verso il vero valore della vita: il denaro.
Una pièce, giusto segnalarlo, piuttosto cruda, nel linguaggio e nelle situazioni, che però non deve, e non vuole, solo scandalizzare. Ben altro è il messaggio, e arriva dritto allo stomaco. Come un pugno. Merito anche di Ferdinando Bruni, nella doppia veste di attore, come sempre versatile e senza sbavature, e anche di regista. Coraggioso, oltre che bravo. Perché per le parti, non facili, dei quattro giovani ha scelto dei giovani. Poco più che esordienti. Ed è stato ripagato, e noi con lui, da un’ottima prova attoriale di tutto il gruppo. Da vedere. Fino al 29 Giugno
C’è come una pausa, nella pièce, un momento fuori dal tempo, come se non il personaggio ma proprio l’autore stesse parlando al pubblico, quando Robbie, nell’immobilità scenica, dice: «Io credo che una volta, tanto tempo fa, esistessero grandi storie. Storie così grandi da poterci vivere dentro tutta la vita. Le Mani onnipotenti degli Dei e del Fato. Il Viaggio verso l’Illuminazione. La grande marcia del Socialismo. Ma sono morte tutte, o forse il mondo è invecchiato e invecchiando ha perso la memoria e le ha dimenticate. Così, adesso, ognuno di noi si costruisce da solo le sue storie. Piccole storie». Già, piccole (grandi) storie come questo «Shopping&Fucking». Autore, quel Mark Ravenhill, classe 1966, che, insieme a Sarah Kane rappresenta la punta di diamante dei cosidetti «nuovi arrabbiati» inglesi, anche se quest’etichetta, come qualunque altra, gli va decisamente stretta perché il microcosmo, solo apparentemente underground, che porta in scena è un macrocosmo politico e di denuncia sociale ed esistenziale.
In «Shopping&Fucking» questo prende vita da una storia solo apparentemente dominata da droga e sesso ma, a una lettura più attenta e approfondita, svela il vero messaggio: la diversità, l’elemento borderline, deve essere riportato alla «normalità». Non in nome della morale, ma del capitalismo, del dio denaro. Vediamo.
Una coppia, Robbie (Alessandro Rugnone) e Lulu (Camilla Semino Favro) vive a casa di Mark (Vincenzo Giordano) in un ménage à trois senza barriere (tutti sono amanti di tutti), ma Mark vuole disintossicarsi dalla droga e per farlo ha bisogno di liberarsi, almeno temporaneamente, dai legami. Cerca sesso facile, a pagamento. E incontra Gary (Gabriele Portoghese) per un rapporto a pagamento. Ma Gary, si scoprirà, è vittima di abusi e finirà per avere un «volto» non un prezzo. Dal canto loro Robbie e Lulu, per tirare avanti, finiscono fra le grinfie di Brian (Ferdinando Bruni) l’unico «adulto» che, senza svelare più del necessario, attraverso una sorta di «percorso iniziatico» diverrà il «padre», ossia colui che li incanalerà verso il vero valore della vita: il denaro.
Una pièce, giusto segnalarlo, piuttosto cruda, nel linguaggio e nelle situazioni, che però non deve, e non vuole, solo scandalizzare. Ben altro è il messaggio, e arriva dritto allo stomaco. Come un pugno. Merito anche di Ferdinando Bruni, nella doppia veste di attore, come sempre versatile e senza sbavature, e anche di regista. Coraggioso, oltre che bravo. Perché per le parti, non facili, dei quattro giovani ha scelto dei giovani. Poco più che esordienti. Ed è stato ripagato, e noi con lui, da un’ottima prova attoriale di tutto il gruppo. Da vedere. Fino al 29 Giugno