UN UOMO A METÀ
Di Giampaolo G. Rugo
Con Gianluca Cesale
Regia e ideazione luci Roberto Zorn Bonaventura
Costumi ed elementi scenici Francesca Cannavò
Realizzazione scene Nino Zuccaro
Produzione Nutrimenti Terrestri in collaborazione con Il Castello di Sancio Pansa
DAL 20 AL 22 GENNAIO
ALTROVE TEATRO STUDIO- ROMA
Dal 20 al 22 gennaio il palcoscenico dell’Altrove Teatro Studio accoglie UN UOMO A META’, spettacolo di Giampaolo G. Rugo, diretto da Roberto Zorn Bonaventura e interpretato da Gianluca Cesale.
Giuseppe lavora come rappresentante di articoli religiosi. Il padre e la madre, pensionati, passano il proprio tempo al “Manhattan” una sala bingo nella quale dilapidano la propria pensione. Il nonno, un vecchio fascista reduce delle guerre coloniali, dopo un ictus è costretto su una sedia a rotelle curato da una badante singalese. Giuseppe è fidanzato da sempre con Maria, ricca figlia del padrone del più grande negozio di articoli religiosi di Roma. Si avvicina la data del matrimonio ma Giuseppe ha un problema: è impotente. Il giorno prima delle nozze si sottopone obtorto collo al rito dell’addio al celibato con gli amici. Proprio quella notte scopre in maniera rocambolesca la propria sessualità. La carica dirompente di questa rivelazione lo porta a realizzare una parte di sé nascosta che metterà in luce e rivoluzionerà il rapporto col mondo che lo circonda fino alle estreme conseguenze.
Quanto dipende dall’ambiente che lo circonda la libertà dell’individuo?
Fino a che livello può essere compressa l’essenza più vera della persona?
Questi sono gli interrogativi che si pone “Un uomo a metà” che utilizza l’impotenza sessuale sia come metafora dell’impotenza più generale a vivere sia come grimaldello per svelare le mille ipocrisie della nostra società.
Lo spettacolo ha vinto E45 Napoli Fringe Festival 2015.
Il testo è arrivato al secondo posto del concorso per monologhi “per voce sola” nel 2014.
Un uomo a metà è il primo spettacolo della tetralogia “mangiare, bere, dormire e fare l’amore”.
Note dell’autore
Il sesso. Quando ho cominciato a pensare alla tetralogia, “mangiare, bere, dormire e fare l’amore”, la prima cosa che ho dovuto realizzare è che non ho trovato nella lingua italiana una parola singola che potessi utilizzare per indicare l’atto sessuale; cioè, ce ne sono molte ovviamente, anche troppe, ma nessuna che non avesse un sapore goliardico-volgare o freddamente scientifico o talmente desueto da risultare ridicolo.
Questo a ben pensarci vale anche per la definizione degli organi genitali maschili e femminili. Ho dovuto così intitolare questo capitolo “fare l’amore” la locuzione che mi è sembrata la migliore o forse sarebbe più giusto dire la meno peggiore.
Nelle storie che mi raccontano i miei amici, nell’osservazione di ciò che mi circonda, nella mia vita personale, mi sembra di rivedere questa schizofrenica afasia; questa incapacità di dare all’atto sessuale un nome, non soltanto nel vocabolario, che lo affranchi dalle ipocrisie, dagli infantilismi, dalla militarizzazione; che abbia il potere di pulire le nostre chat, i messaggi sui social network e le cronologie dei nostri browser per riportarci alla origine della sua naturalezza e magari, hai visto mai, a un incontro vero con l’altro. Avevo sempre desiderato scrivere qualcosa sull’argomento, quando un amico mi raccontò un episodio avvenuto ad un addio al celibato, quella cerimonia nella quale viene codificata la trasgressione prima che col matrimonio venga codificata la “normalità”. È nato così nella mia mente il personaggio di Giuseppe “uomo a metà” che, condizionato da mille impedimenti, non riesce a vivere e quindi non riesce a, ecco il dilemma sulla parola che torna, “fare l’amore”.
Giampaolo G. Rugo
Note di regia
Giuseppe vive in una gabbia e finisce in una gabbia. Non riesce a liberarsi di niente, non riesce a conquistare niente. Si illude di essere più furbo, di trovare il modo di vivere meglio degli altri. Ma non riuscirà mai a farlo, neanche sul più bello, quando gli sembrerà di essere lontano da tutto, lontano da tutto quello che lo aveva circondato, cresciuto e affossato.
Da questo prende spunto il lavoro che abbiamo messo in scena. Il testo ci costringeva a mettere l’attore in gabbia, ma per farlo non abbiamo sentito il bisogno di scenografie imponenti. La società non ha bisogno di sbarre per costringerti in uno spazio. E il nostro spazio è quello, vuoto, del palcoscenico. Per questo Giuseppe all’ingresso del pubblico in sala, cammina senza sosta e senza meta, perso, sulle tavole del palco. È ingabbiato e non può fare altro che raccontare la sua storia, ancora e ancora.
Roberto Bonaventura
INFO
Dal venerdì al sabato ore 20
Domenica ore 17
ALTROVE TEATRO STUDIO
Via Giorgio Scalìa, 53
ipensieridellaltrove@gmail.com
MP 351 8700413
www.altroveteatrostudio.it
Ufficio Stampa
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