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Divine parole, regia di Damiano Michieletto – dal 25 marzo al 30 aprile

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MILANO – Piccolo Teatro Studio Melato (via Rivoli 6), dal 25 marzo al 30 aprile 2015
Divine parole
di Ramón María del Valle-Inclán
traduzione Maria Luisa Aguirre d’Amico
regia Damiano Michieletto
scene Paolo Fantin
costumi Carla Teti
luci Alessandro Carletti
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
in collaborazione con Instituto Cervantes – Milano

Foto di scena Masiar Pasquali

Pubblicità / tel: +39 3460730605

Per la sua prima regia in una nuova produzione del Piccolo Teatro di Milano, Damiano Michieletto sceglie Divine parole di Ramón María del Valle-Inclán, poeta, scrittore e drammaturgo considerato uno degli autori chiave della letteratura spagnola del Novecento. Lo spettacolo, in scena al Teatro Studio Melato per più di un mese di repliche, dal 25 marzo al 30 aprile, dipinge un grande affresco grottesco popolato da una comunità di “ultimi”, creature disperate, straccioni, ladri, prostitute, emarginati, che vivono alle porte di una città, in un’epoca e in un tempo non definiti, lottando gli uni contro gli altri per la sopravvivenza, in una Spagna che ha i tratti di un dipinto di Goya. Divinas palabras (1920) è un testo caratterizzato da uno stile drammaturgico radicale, in cui il grottesco e il surreale diventano l’ispirazione per una storia crudele e visionaria, dove la parola incarna il bisogno di elevazione e di assoluto.

“È una sorta di parabola moderna, un racconto disperato e ancestrale”, spiega Damiano Michieletto. “Una parabola nel senso di racconto epico, stagliato in una atmosfera nera e violenta. Racconta l’avarizia, la lussuria, l’ipocrisia. Racconta l’assenza di Dio e la lotta per recuperare in qualche modo il valore di una spiritualità. Le parole divine sono quelle che fermano il tempo. La necessità, il bisogno delle divinas palabras intese come elemento di spiritualità che sollevi l’essere umano da una quotidianità di squallore mi è sembrato l’elemento affascinante di questo testo barbaro ed enigmatico. Una invenzione teatrale ruvida e ostica, che mi ha portato a trovare certe affinità con il teatro di Pasolini In un contesto in cui vige lo scardinamento dei valori della convivenza civile, in una dimensione ferina, in cui tutto è violenza, sopraffazione, abiezione dell’individuo, il bisogno di qualcosa che sia “oltre” mi è apparso immediatamente contemporaneo. Una vicenda intrisa di sangue fin dai primi minuti, e dominata dal fango della strada in cui gran parte dell’azione si svolge, fino alla lapidazione finale, parallelo biblico in cui il Cristo ferma il tempo con le parole divine (qui sine peccato est vestrum, primus in illam lapidem mittat)”.

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