Gentile Gabriele Muccino,
vedendo il suo ultimo film americano, Padri e figlie , mi sono chiesto perché lei insista a girare film a Hollywood. Certo c’è la gratificazione di essere riuscito dove praticamente nessun regista italiano è davvero riuscito a sfondare, oltre alla rivincita su una critica italiana che non avrebbe capito la sua grandezza (nel suo ultimo film mette i critici insieme agli scarafaggi tra gli errori di Dio: ce lo meritiamo davvero?). Ma ho il dubbio – soprattutto dopo aver visto quest’ultimo film – che queste «vittorie» le stiano costando un prezzo troppo alto. Lei è troppo un bravo regista (e sceneggiatore) per non capire che lo script di Brad Desch per Padri e figlie è pieno di difetti. Troppa carne al fuoco, troppe divagazioni narrative, troppi temi sfiorati e mai davvero affrontati: la creatività, la malattia, il senso di colpa, la paternità, la cognata «vendicativa», la figlia complessata, la rivalsa generazionale. E troppe conclusioni affettate e superficiali nel peggior stile pseudo-hollywoodiano.
Eppure, nonostante tutti questi difetti che sono soprattutto di scrittura e non di regia, ogni tanto si resta colpiti da un bagliore di sincerità, da una scintilla di inaspettata verità (visto il contesto del film). Dietro Russell Crowe o Amanda Seyfried si intuiscono temi che la sceneggiatura non affronta ma che la regia porta alla luce: forse sono i suoi demoni più nascosti, i dolori che l’hanno segnata in profondità, gli urli che produttori ed executives cercano di soffocare ma che invece sanno dare vita vera a un film (se lo lasci dire da uno che fa il deprecabilissimo mestiere del critico ma che di film ne ha visti molti in vita sua. E qualcosa ha imparato). La ricerca della felicità , il suo primo film negli Usa, aveva stupito tutti perché aveva saputo infondere un soffio di verità «europea» in un prodotto «americano». Poi però quell’originalità si è andata affievolendo. E le sue ultime prove sembrano averle perse del tutto. Per questo mi chiedevo se non sente il bisogno di tornare in Italia per ritrovare un po’ della forza e dell’energia che l’avevano fatto apprezzare. Magari coinvolgendo qualcuna delle star che a Hollywood hanno imparato ad apprezzarlo, ma fuori da quelle imposizioni produttive (e da quelle brutte sceneggiature) che hanno finito per spegnere la voglia di verità e di sincerità che ogni tanto fa ancora capolino nelle sue regie. Sempre più debolmente, però.
Corriere della Sera