Milano, Piccolo Teatro Grassi (via Rovello, 2) dal 27 ottobre al 4 novembre 2015
Lampedusa Beach. Trilogia del Naufragio
testo e regia Lina Prosa, con Elisa Lucarelli
scene, luci e immagini Paolo Calafiore, costumi Mela Dell’Erba
produzione Teatro Biondo Stabile di Palermo
Arriva al Piccolo Teatro di Milano, dal 27 ottobre al 4 novembre 2015, Lampedusa Beach, il primo dei tre testi che compongono la Trilogia del naufragio di Lina Prosa realizzata dal Teatro Biondo di Palermo. Scritto nel 2003, è stato messo in scena nel 2013 dalla Comédie-Française, che nel 2014 ha prodotto l’intera Trilogia dell’autrice e regista siciliana nella traduzione di Jean-Paul Manganaro. Lampedusa Beach è andata in scena nel marzo del 2014 al Teatro Biondo, avviando la produzione italiana della Trilogia , che prosegue nella stagione ‘14-15 con Lampedusa Snow e nel ‘15-16 con Lampedusa Way.
Lampedusa Beach non è solo un testo sull’emigrazione clandestina, è la testimonianza, poetica e tragica, di una giovane africana che naufraga al largo di Lampedusa; un monologo che dà voce e voci all’interminabile istante in cui Shauba, mentre annega, racconta la sua esperienza: il sogno di una vita migliore, l’indifferenza del mondo, ma anche il suo rapporto primordiale con l’acqua e la sua identità mediterranea.
Shauba sprofonda lentamente, parla boccheggiando e, mentre il suo corpo scende verso gli abissi, ricorda le tappe del suo viaggio epico, fatto di speranza e di angoscia, in cui prendono vita le persone a lei care e i personaggi incontrati: l’amata zia Mahama, la madre, lo scafista.
«Il tempo della discesa del suo corpo negli abissi del mare coincide con il tempo della scrittura. – spiega Lina Prosa – Ma è anche l’evento di un teatro nell’acqua, in simbiosi con un corpo di donna che ha perso l’ormeggio terreno e a cui l’autrice chiede l’intervento di un’attrice che sa “recitare in apnea”. La parola annegata di Shauba dà vita infatti a un’odissea sott’acqua in cui la fine, l’arrivo al fondo, è un respiro lungo elevato a racconto. Lo spettacolo è un invito appassionato a riconoscere nelle parole come naufragio, clandestinità, emigrazione, non le radici del “male”, ma la prova di un mondo ancora in costruzione, in movimento, ancora in viaggio».