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Mimmo Borrelli: ‘A sciaveca e Malacrescita – dal 3 novembre

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Milano, Piccolo Teatro Studio (via Rivoli 6),
dal 5 al 9 novembre 2014
Malacrescita
tratto dalla tragedia “La Madre: ’i figlie so’ piezze ’i sfaccimma”
con Mimmo Borrelli
musiche in scena Antonio della Ragione
oggetti di scena, elementi e spazio scenico Luigi Ferrigno
testi e regia Mimmo Borrelli
disegno luci Gennaro Di Colandrea
produzione Associazione Culturale Sciaveca
collaborazione al progetto Luigi Ferrigno, Placido Frisone, Enzo Pirozzi, Tobia Massa
si ringraziano Teatro Mercadante Stabile di Napoli, Eti-Teatri del Tempo Presente 2009, Primavera dei teatri di Castrovillari 2009, A.S.D “Il Centro”

Pubblicità / tel: +39 3460730605

Sul palcoscenico del Piccolo Teatro Studio, dal 5 al 9 novembre 2014, arriva Malacrescita il pluripremiato spettacolo di una delle personalità teatrali emergenti più importanti del momento, Mimmo Borrelli (Premio Testori 2013 miglior autore di un testo letterario per La madre: ’i figlie so’ piezze ’i sfaccimme, dal quale Malacrescita è liberamente tratto). In un’opera di straordinaria potenza linguistica che contamina livello letterario e popolare su un sostrato dialettale ispirato alla parlata di quei campi flegrei di cui è originario, Borrelli racconta la storia di una Medea contemporanea, Maria Sibilla Ascione, nel nome già destinata a una condizione di metà Vergine innocente, metà Maga, strega furente. Figlia di camorrista e di camorrista innamorata, intossicata dalle esalazioni della terra dei fuochi, cerca vendetta contro un Giasone che risponde al nome di Francesco Schiavone “Santokanne”, un intraprendente bulletto di periferia determinato e disposto a tutto per favorire la propria ascesa al potere, tra le fila delle cosche camorristiche. Narratori delle folli trame insanguinate della tragedia sono proprio i figli, nati da parto gemellare, che la madre non uccide ma rende scemi, avvinazzandoli invece di allattarli, che lascia vivere ma abbandona al pari di rifiuti, come nelle discariche innaffiate dal percolato. I due gemelli, come cani abbandonati alla catena dei ricordi, rivivono i fatti tra versi, rantoli, filastrocche, rievocando gli umori, le urla, i mormorii della loro aguzzina, in un ossessivo teatrino quotidiano.
“Nel testo originale è la madre sopravvissuta a raccontare. Qui, invece, capovolgiamo il punto di vista e dunque la drammaturgia della scena, immaginando che tutti i protagonisti di questa storia siano ormai defunti e gli unici sopravvissuti, agonisti giullari, diseredati, miserabili, siano proprio i due figli, i due scemi che dementi rivivono i fatti, rinchiusi tra le pareti di un utero irrorato di solitudine. L’unico gioco rimane e consiste nel rimbalzarsi, tra gli spasmi della loro degenerata fantasia, sul precipizio di un improvvisato altare tombale di bottiglie di pomodori e vino eretto in nome della loro mamma: ’u cunto stesso, la placenta, l’origine della loro malacrescita”.
Mimmo Borrelli

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