Al Teatro Carcano di Milano
da venerdì 3 a domenica 12 ottobre 2014
Corrado Tedeschi Ettore Bassi
con Miriam Mesturino
TRAPPOLA MORTALE
di Ira Levin – Traduzione di Luigi Lunari
Con Giovanni Argante, Silvana De Santis
Scene di Gianluca Amodio
Costumi di Marina Luxardo
Disegno luci di Stefano Lattavo
Musiche originali di Gary Yershon
Sound designer Simon Baker
Effetti speciali Galiano Fx
Maestro d’armi Alberto Bellandi
Produzione Artù Produzioni – XLVII Festival Teatrale di Borgio Verezzi
Adattamento e regia di Ennio Coltorti
Classico del giallo teatrale, perfetto gioco a incastro tra umorismo, suspense e forte tensione narrativa, TRAPPOLA MORTALE nasce dalla talentuosa penna di Ira Levin, autore dell’indimenticabile, terrorizzante Rosemary’s Baby.
Grande successo a Broadway, dove venne replicata per cinque anni consecutivi dopo il debutto nel 1978, la commedia ebbe nel 1982 una fortunata versione cinematografica diretta da Sydney Lumet, protagonisti Michael Caine e Christopher Reeve.
A oltre venticinque anni fa risale la prima messinscena italiana, protagonista Paolo Ferrari. Elementi comuni alla presente edizione la brillantissima traduzione firmata da Luigi Lunari e la regia di Ennio Coltorti. L’inserimento di opportuni tocchi di modernità (computer e tecnologia in sostituzione delle vecchie macchine da scrivere) rende ancora più avvincente un lavoro che, per l’accostamento di momenti da brivido a situazioni più leggere e addirittura comiche, è stato definito dalla critica “due terzi thriller, un terzo commedia”.
Sydney Bruhl (Corrado Tedeschi) è un commediografo in piena crisi creativa, incapace di infondere tensione e drammaticità ai testi che porta in scena. Il suo ultimo lavoro, un giallo, è stato un clamoroso fiasco. L’occasione d’oro per prodursi in un nuovo successo che gli faccia riguadagnare il terreno perduto e salvare la propria reputazione gli viene offerta dal giovane Clifford Anderson (Ettore Bassi), che ha appena terminato di scrivere un thriller veramente avvincente dal titolo Trappola mortale. Il testo di Levin utilizza diabolicamente i toni del noir per descrivere l’avidità dell’uomo senza scrupoli alla continua ricerca del potere, della realizzazione personale e della soddisfazione dei propri insaziabili appetiti.